Nikolaj Gumiljov (1886-1921): “Il tram che si è smarrito” tradotto da Paolo Statuti

22 Mar

    Oggi pubblico nella mia traduzione la poesia “Il tram che si è smarrito”, scritta da Nikolaj Gumiljov nel 1920, un anno prima della sua uccisione, perché accusato di attività antirivoluzionarie. È un’opera simbolica ricca di metafore. In essa il poeta affronta il tema della rivoluzione e della realtà post-rivoluzionaria, verso la quale aveva un atteggiamento di insoddisfazione e di timore. In tono elegiaco la poesia esprime i pensieri cupi dell’autore sulla sua epoca.

   Secondo gli studiosi, il tram indicherebbe il furore della rivoluzione, in cui il poeta si trova coinvolto a malincuore (non sa come sia saltato sul predellino). Egli implora il conducente di fermarsi, ma non è possibile arrestare la corsa sfrenata verso la stazione dove ora vendono teste morte. Sono le teste di chi ha cercato di “nuotare controcorrente”, e qui la poesia si fa profetica, prevedendo la morte del poeta un anno dopo. Mashenka è una metafora della Russia che Gumiljov considera defunta. Nelle ultime strofe egli esprime l’idea che la vera libertà arriva solo dopo la morte, quando una persona va in paradiso, “da dove la luce proviene”. L’opera si conclude con una dichiarazione d’amore rivolta alla Russia-Mashenka.

Il tram che si è smarrito

Camminavo in una strada sconosciuta

e a un tratto un corvo gridare ho udito,

e i suoni di un liuto, e tuoni lontani,

un tram davanti a me volava spedito.

Come di colpo saltai sul predellino,

fu per me un vero mistero,

nell’aria, benché in pieno giorno,

esso lasciava di fuoco un sentiero.

Correva come cupa tempesta,

nell’abisso dei tempi s’era perso…

Fermate, conduttore,

fermate la vettura, adesso.

Troppo tardi. Superato un muro,

un boschetto di palme passammo,

e attraverso la Nevà, il Nilo e la Senna

su tre ponti noi tonammo.

E balenò a un tratto al finestrino,

guardandoci con occhio insistente,

un vecchio pitocco, – di certo lo stesso

morto a Beirut l’anno precedente.

Dove sono? Così languido e turbato

il cuore battendo mi ha detto:

vedi la stazione, dove per l’India

dello Spirito puoi comprare il biglietto?

Un’insegna…le lettere insanguinate

dicono – verdure, – le ho vedute

ma invece di cavolo e navone,

ora teste morte sono vendute.

In camicia rossa, la faccia come poppa,

il boia anche a me tagliò la testa,

essa giaceva insieme alle altre,

sul fondo di una viscida cassetta.

E in un vicolo un recinto di legno,

una casa col tetto sconnesso…

Fermate, conducente,

fermate la vettura, adesso!

Mashenka, tu qui vivevi e cantavi,

per me, tuo sposo, una maglia hai ricamata,

dov’è ora la tua voce e il tuo corpo,

è mai possibile che tu sia spirata?!

Come gemevi tu nella tua stanza,

e all’Imperatrice io mi sono presentato

con una treccia incipriata

e non ti ho più incontrato.

Adesso ho capito: la nostra libertà

è solo da dove la luce proviene,

persone e ombre all’entrata dello zoo

dei pianeti stanno insieme.

E subito il vento è dolce e familiare,

e oltre il ponte in un guanto di acciaio

vola su di me la mano di un cavaliere

e due zoccoli del suo cavallo.

Come fedele fortezza dell’ortodossia,

Isacco nell’alto dei cieli è messo,

là celebrerò una funzione per la salute

di Mashenka e un requiem per me stesso.

Eppure per sempre il cuore è cupo,

Vivere duole, fatico a respirare…

Mashenka, non avrei mai creduto

di poter tanto soffrire e tanto amare.

1920

(C) by Paolo Statuti

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