La primavera nella poesia Italiana dell’ottocento e del novecento
Nel 1943 Carlo Culcasi, nato a Erice nel 1883 e morto a Milano nel 1947, insegnante di lettere, preside, poeta e saggista, pubblicò con Garzanti una Antologia della lirica italiana (ottocento e novecento). Nella prefazione egli scrive: “…Dei singoli poeti, maggiori o minori, fioriti negli ultimi cento anni, ho prescelto quelle liriche che mi sono sembrate più belle e significative, senza lasciarmi affatto influenzare dal nome e tanto meno dalla sigla che portavano, avvalendomi sempre d’una imparziale e disinteressata libertà di giudizio, ed appellandomi soltanto al mio gusto personale, buono o cattivo che sia, ed essendo unicamente mosso dall’onesto e sincero intento di ben servire la causa della Poesia…”
Da questa Antologia ho tratto le poesie dedicate alla primavera. Oggi quasi tutti i loro autori sono sconosciuti, ma posso assicurarvi che trascrivendo i loro versi ho visto l’incanto fiabesco di questa stagione e ne ho sentito il fresco e delicato profumo. E’ come se ci fossimo incontrati per caso oggi, e avessimo deciso di fare una passeggiata insieme, ammirando la leggiadra eleganza e freschezza, e ascoltando la risvegliata musica della primavera. Ascoltiamo dunque insieme la voce di questi poeti.
Ugo Betti (1892-1953)
La primavera
Quando il cielo ritorna sereno
come l’occhio d’una bambina,
la primavera si sveglia. E cammina
per le mormoranti foreste,
sfiorando appena
con la sua veste
color del sole
i bei tappeti di borraccina.
Ogni filo d’erba reca un diadema,
ogni stilla trema.
Qualche gemma sboccia
un po’ timorosa
e porge la boccuccia color di rosa
per bere una goccia
di rugiada…
Nei casolari solitari
i vecchi si fanno sulla soglia
e guardano la terra
che germoglia.
La capinera prova una canzonetta
ricamata di trilli
e poi cinguetta
come una scolaretta.
I grilli
bisbigliano maliziose parole
alle margheritine
vestite
di bianco. Spuntano le viole…
A notte le raganelle
cantano la serenata per le piccole stelle.
I balconi si schiudono
perché la notte è mite,
e qualcuno si oblia
ad ascoltare quello che voi dite
alle piccole stelle,
o raganelle
malate di melanconia!
Luigi Fallacara (1890-1963)
Primavere invisibili
Posso anch’io vedere i coralli
della primavera che deve venire,
anche se, sotto cristalli
di gelo, la terra sembra dormire.
Nella trasparenza di vetri rudi,
vedo le gemme, come chiusi occhi,
sognare sui rami nudi
il raggio che le trabocchi.
Fioriscono dentro la scorza
i petali chiusi del melo;
vivono la vita della forza
che li aprirà nel cielo.
Tempo d’aprile, proteso
oltre la soglia del futuro,
come giardino conteso
da un costeggiato muro,
sei in questo sole che appare dai vani
delle nebbie senza raggera,
e che sospende nei cieli lontani
la sua chiara primavera.
Giuseppe Lipparini (1877-1951)
L’albero e la primavera
Vedi quell’esile tronco che trema sul dorso del colle?
Qui nella valle è freddo, è buio; ci opprime Scirocco
umido, greve; le cose son piene di fango e di nebbia;
grondano i rami di brina, i muri hanno odore di muffa.
Pure, lassù, non la vedi? là dietro quell’albero solo,
s’apre una striscia di cielo, e l’albero gracile oscilla
verso il turchino perché lontano, lontano ha veduto
lungo le prode dei fiumi sopraggiungere la primavera.
Giovanni Marradi (1852-1922)
Dopo la neve
E al sole or brilla, fredda primavera,
un fiorir bianco d’orti e di giardini,
e i monti, in giro, splendono argentini
al mite sol che nell’azzurro impera.
E tutta a lui, dalla sua bianca faccia,
ride la terra un riso d’oro. O sole,
scalda col raggio tuo gl’inverni crudi.
E tu, provvida neve, i germi schiudi
per cui sudaron tante braccia umane,
sì che la terra pia maturi il pane
alla prole dell’uom, che attende e spera.
Sebastiano Mineo (1885-1955)
Primavera in corte
Coi primi passi smarriti,
è venuta fin qui, stanotte,
Primaverina: a guardare,
con le due stelle degli occhi,
dentro il buio della corte.
Fu la frustata di un lampo;
fu il brontolio minaccioso
venuto dal fondo del cielo,
che le mise sgomento
e la fece fuggire?
Su quel tetto ha lasciato
un filo verde
dei suoi capelli d’erba,
un tenero lembo
della sua camiciola di neve,
e un po’ di pianto
che ora sgocciola dalla grondaia,
si scava una piccola pozza
e la riempie d’azzurro.
Francesco Pastonchi (1877-1953)
Risveglio primaverile
Quante campane suonaron d’argento
schiette giulive al sole mattutino!
Tutta la gente si mise in cammino
per obbedire al lor comandamento.
Anche le suore uscivan di convento
a due a due col loro passettino,
anche i malati godeano il festino
e spalancavano i balconi al vento.
Anche la pietra non parea più muta,
ché sentiva un desìo d’esser leggera,
concorde al tremolar degli alberetti:
poi che ignuda e improvvisa era venuta
alfine l’aspettata messaggera,
colme le nivee braccia di fioretti.
Renzo Pezzani (1898-1951)
Primavera
C’è tra i sassi – ieri non c’era –
l’erba che trema come un verde fuoco!
l’ha perduta nel gioco
la giovane Primavera.
La pecorina vestita di lana
ora strappa le tenere foglie
e, per ogni ciuffo che coglie,
batte un tocco di campana.
A quel suono fiorisce il pesco:
si schiudono le finestrelle
e le rondini dal cuore fresco
giungono dalle stelle.
Ogni casa ha la sua festa
(poi che brilla come bandiere
il bucato alle ringhiere)
e le ragazze un fiore in testa.
L’acqua chioccia nella peschiera
rotonda come una secchia
e l’allodola dentro vi specchia
il suo canto di primavera.
Dammi la mano, bambino!
Si va dietro il ruscello
che batte gaio come un tamburello
e va nel fiume e muove il mulino.
Chi porta frumento e sudore
farina si prende che è pane;
poi, se dondolano le campane,
s’inginocchia e ringrazia il Signore.
Giuseppe Villaroel (1889-1965)
Primavera
Stanotte s’è messa in cammino
la Primavera nell’aria.
D’intorno, sul capo, le svaria
un velo di stelle turchino.
Il suo profumo è un sospiro
diffuso sui freschi giardini.
La terra non ha più confini,
il mare non ha più respiro.
L’alba sorride cogli occhi
dalle lunghe ciglia di cielo.
Vibra negli orti ogni stelo
come se una mano lo tocchi.
Le strade hanno tenui tremori
di verde lungo i fossati.
Gli alberi si sono svegliati
con bianche ghirlande di fiori.
(C) by Paolo Statuti
Queste poesie presentano versi semplici e comprensibilissimi, pare atmosfera quasi pastorale da poeti latini e tardo latini… d’altronde questi poeti qui presentati si nutrirono di conoscenze classiche, succhiando da queste aspetti estremamente positivi e mettendo in un cantuccio della loro coscienza gli aspetti più aspri della primavera (al contrario di Eliot che ne cantò il disfacimento!; mentre Pasternàk non cedendo di certo alla semplicità ne cantò lo stupore e lo strordimento!); il solo Ugo Betti – che non conoscevo come faditore di versi, ma solo per il suo dramma “Corruzione al palazzi di giustizia” mi ha sorpreso! Infatti il Bettti non me lo sarei mai immaginati come poeta, direi, di una natura fiorente e piena di luce: il suo dramma è su una riva opposta! Restano comunque come poeti – questi autori – di una stagione oramai sparita, volata via come non fosse mai esistita. Certo è che questi versi mi fanno pensare ai quadri naif, poi che nulla pretendono se non quello di celebrare la primavera così come appare nel suo processo – inizio di una fioritura e lo sfiorire che poi allude con tristezza alla fine delle inflorescenze… fine che non viene menzionata come se la primavera dovesse durare imperitura e senza affatto morire! Ingannvoli sono questi versi. Però c’è da lodare Paolo Statuti per il coraggio insistente di farci conoscere questi poeti, che a me personalmente come intendo la poesia, non dicono nulla, ma per tanti altri che amano la poesia – questo genere di poesia – può dire tantissimo e dare loro tanta gioia interiore.. antonio sagredo
Antonio la tua diagnosi è perfetta. Infatti qui c’è la gioia della primavera, che esplode dopo il grigiore dell’inverno. C’è un ingenuo e fresco ritrovare una bellezza smarrita, e c’è ancora qualcuno (o più di qualcuno?) che ancora prova questi sentimenti, Gente semplice e non studiosa e, credimi, a volte per un po’ di tempo vorrei rilassare la mia mente ed essere come loro.