Nato nel 1960 a Varsavia, è uno dei poeti polacchi contemporanei più apprezzati. E’ anche saggista, autore di libri per bambini, pubblicista e ha grandi meriti come traduttore in polacco di Dante, Petrarca, Michelangelo, Leopardi, Montale, Ungaretti, Luzi, Penna, Pavese, Pasolini, Levi e altri ancora. Dalla letteratura italiana per l’infanzia ha tradotto “Pinocchio” di Carlo Collodi e alcune opere di Gianni Rodari. Tra il 1991 e il 2014 ha pubblicato 11 raccolte di poesie. I suoi libri sono stati tradotti in più lingue. Ha ricevuto prestigiosi premi letterari, tra cui nel 2014 la medaglia d’argento per meriti speciali al servizio della Cultura “Gloria Artis”, e in Italia: Stella della Solidarietà Italiana, Premio Nazionale per la Traduzione, Premio della Città di Roma, Premio Flaiano.
Negli anni 1983-1998 è stato docente della cattedra di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Varsavia, e negli anni 2006-2012 direttore dell’Istituto Polacco a Roma. Da questo soggiorno romano è nata, tra l’altro, la raccolta di saggi “La Romana Commedia” (2011) – un peculiare diario-guida attraverso la città di Roma. La chiave per conoscere i segreti della Città Eterna è la “Divina Commedia” di Dante. Essa detta il ritmo delle scoperte di Jarosław Mikołajewski e determina la struttura di questo libro, che si compone di 100 canti suddivisi nelle tre cantiche: “Inferno”,”Purgatorio” e “Paradiso”. A proposito di questo libro la poetessa Julia Harwig scrive: “Si può ritrovare la Roma contemporanea grazie alla “Divina Commedia” di Dante? Jarosław Mikołajewski ha rischiato e ha scritto per noi un racconto di questa stupenda città, costruendolo intorno a frammenti dei “Canti” di Dante. Un’idea ardita, ma che non desta obiezioni. A Roma, presente e passato convivono e coesistono…Un carattere particolare è dato al libro dal personale rapporto dell’autore con questa città”.
Come romano trasferito in Polonia posso capire perfettamente i sentimenti di questo poeta polacco trasferito a Roma, dove per sei anni , nella tradizione di altri illustri poeti polacchi, quali ad esempio Jarosław Iwaszkiewicz e Jerzy Hordyński, ha “visto e sentito” l’essenza di questa città. A Roma ci sono i classici luoghi per turisti: Colosseo, Fontana di Trevi, Bocca della Verità, ecc., e ci sono i “quadri” preferiti dai poeti: le Ville, i pini, i vecchi vicoli, le fontanelle, i tramonti, ecc., ed essi attingono le parole da ciò che “vedono e sentono”. Jarosław Mikołajewski ha lasciato le sue personali e durature impronte sul suolo di Roma, e se dovesse tornarci, sono sicuro che le varie anime della Città lo riconoscerebbero subito e lo accoglierebbero come un vecchio amico.
Di proposito non voglio esprimere giudizi critici (anche perché non sono un critico letterario) sulla creazione di questo poeta, e nemmeno citare la critica ufficiale, ma ho tradotto 10 sue poesie – ciò significa che mi piacciono – e invito i lettori di questo mio post a manifestare i loro pareri, che sono certo saranno accolti con interesse da Jarosław Mikołajewski.
Poesie di Jarosław Mikołajewski tradotte da Paolo Statuti
Il prato
Le mie figlie si nutrono come giovani mucche
di erba
che cresce nei verdi pascoli
di latte
che ai pietosi animali
si stilla dalle turgide mammelle
le mie figlie bevono tisane
di erbe
dai nomi latini
e le loro guance profumano
come serici gusci ripieni di lavanda
le mie figlie sono tutte yoghurt
pane e sole
masticano i dolci petali
dei fiori di campo
e i loro capelli profumano
di rugiadosa violacciocca
Vivo accanto a loro come un maiale
come un cane crepato
sulla riva di un fiume cristallino
e che ancora non è diventato erba
né rugiada
che vola verso il sole
né l’acqua di questo fiume
O terra carnivora
inghiottisci finalmente la mia carne
o fa’ fiorire il mio corpo
imbalsama la mia pelle
Il museo degli oggetti antichi
le risorse sono limitate
un carro per il cielo
trascinato dall’ombra d’un cavallo
uccelli
onde
qualche caro oggetto di uso quotidiano
una bambola o la moglie
un pettine
e ancora una guida
un corvo
un raggio
un’ombra sulla bacheca
La valle
scendo in valle giulia con giulia
e con noi scendono signori e signore
e con loro i cani senza guinzaglio
anche mia moglie scende
e le due figlie maggiori
e ciascuna nel portamonete ha le foto
delle due nonne
di un nonno
e dell’altro nonno
che un tempo scese la valle con noi
quando scendiamo
si sentono gli elefanti
e i pavoni
forse è una tigre che domanda a giulia
forse
a valle giulia
al sole s’inchina l’erba
e all’erba il sole
e il sole nell’erba è come un leone
che a morsi si fa strada nella terra
e il tempo è strano per questa stagione invernale
anche qui a roma dove a gennaio al massimo
sono dieci gradi e invece guardate che roba
è così caldo in quest’ora serale
che dalle case escono
e scendono con noi in valle giulia
sirene di città e sirene marine
anemoni di mare e fiori
egiziani
venditori
massaggiatori e preti
parrucchiere con le gambe di vario tipo
quelle più in alto lunghe
quelle più in basso corte
e ognuno bagna i piedi nella propria ombra
che scorre nell’erba come un ruscello
Domanda
sono venuto al mondo
dove non c’ero né io né te
ma le mani applaudivano già le tue creazioni
i tuoi fiori si strofinavano a questi piedi
i chicchi nelle mie mani formavano manciate
ah come eravamo inutili
io non ero una creazione
ma i miei sensi
lo erano e come
io non c’ero
ma tu eri già il creatore
c’era un motivo per cambiare ciò
Un poeta molto vecchio
Andavo a incontrare
un poeta molto vecchio
tanto vecchio che se fosse stato una quercia
avrebbe avuto mille anni
Avrebbe ricordato i fratelli
che diventarono canoe
avrebbe ricordato
che poteva diventare un armadio
o san Sebastiano
nell’altare centrale o di lato
che la sua parte inferiore
poteva diventare il ceppo per la scure
(oggi al museo delle torture medioevali)
e la parte superiore
centinaia di migliaia di fiammiferi
(oggi nella cenere dei falò sui pendii dei Bieszczady)
Andavo da un poeta molto vecchio
dovevo notarlo ora nel suo nervosismo
ora nella sua assenza
prima ancora di scorgerlo
doveva sparire
prima ancora di orientarmi
doveva gettarmi dalle scale
dovevo essere come un pescatore
che abbraccia una sirena
Andavo da un poeta
che poteva essere una quercia
lungo un parco di alberi
che erano come maschere
guardavo in una cavità
senza scoiattoli e senza uccelli
toccavo la corteccia come palpebre
incollate da rivoli di resina fossile
Andavo da un poeta molto vecchio
tra gli alberi come tra armature
con le visiere calate
Quando entrai nella casa del poeta molto vecchio
le scale che potevano essere lui
se fosse stato una quercia
avrebbero scricchiolato sorde e morte
Quando entrai nell’appartamento
mi accolse in piedi
nelle dita millenarie strinse il bastone che
poteva essere lui stesso se fosse stato una quercia
e pesando nella mano il destino della quercia che
poteva essere lui stesso ma non lo era
fece ciò che nessuna quercia farebbe mai
se avesse mille o duemila anni
fece un passo
docile alla sua volontà di quercia
e le foglie stormirono
giovani come la terra
Requiem a santa cecilia
forse così si entra in paradiso
come l’orchestra nel concerto
ricevono gli applausi ma come preambolo
parlano di politica
di malattie
senza timore
non invidiano
non vanno in collera
il primo violino
non ce l’ha col solista
loro accordano gli strumenti
noi la tosse
così si vede dall’alto
dai posti scadenti dietro la scena
dove abbiamo davanti la faccia del direttore
Sconforto
voglio smarrire la bestia
che dorme sotto di me
come un pallone
mi sollevo
nella volta celeste
ma la bestia è con me
come l’ombra sotto la nube
ma la bestia è
con me
come l’ombra
sotto la nube
sotto il sole che si è levato
sul cielo sereno
la mia bestia
si stacca più scaltra di me
mi si alza dal letto
e fa ciò che non so
finché non la troverò
sulle lenzuola comuni
di ossicini
messi
nelle ali rosicate
Il mondo salvato
segno sulla mappa dove siamo stati
non siamo stati quasi in nessun luogo
guarda quanto mondo non morirà con noi
e sai una cosa?
risparmieremo sempre più posto
facciamo domenica
il piano di risparmio
qui non saremo più
là
e ancora là più vicino
là più lontano
guarda quanto mondo
ci sopravviverà
Ai magri
che per tutta la messa
in chiesa come un soldato
curati
inamidati
che nei treni
vi sistemate
come scapolare
come toletta
portatile con specchietto
sospirate nell’intenzione
dei corpi nel grasso sofferenti
ai quali l’anima non entra nella pelle
il ventre nella camicia
e nei pantaloni
i cui piedi bruciano
come se la fiamma li lambisse già
Il cerchio di gesso
passeggiano i colombi e non ci vedono
sfrecciano le barche e ci evitano
come se non ci fossimo
sulle piazze e nell’acqua?
che gente siamo che non ci siamo?
(C) by Paolo Statuti
Innanzitutto, una considerazione: Jarosław Mikołajewski è un poeta che proviene da un’altro magistero poetico, da una tradizione che ha visto un grande numero di poeti di eccellente livello, è inoltre un poeta dotato di una potente carica immaginativa. Senza ombra di dubbio, l’immaginazione guida la composizione della sua poesia, lo si può notare anche in queste poesie splendidamente rese in italiano da Paolo Statuti. Come in una scala sospesa tra il reale e l’immaginario, Mikołajewski costruisce le sue poesie che a un lettore italiano possono suonare esotiche o esogene ma che in realtà rispondono a un preciso progetto conoscitivo; c’è sempre il non-luogo che compare in mezzo ai suoi luoghi, c’è sempre la negazione che segue o precede una affermazione, c’è in Mikołajewski una esuberante ricchezza di denotativi, di sospensioni, di interrogativi, di dubitativi; ci sono associazioni per contatto e una profusione di metonimie. Tutta questa intelaiatura conferisce indubbiamente alla poesia di Mikołajewski una straordinaria motilità, una mobilità interna che influisce sulla semantica rendendola ora incerta ora rafforzandola nei punti di svolta sintattici e semantici. È una poesia che cerca la densità sia nella intensificazione che nell’estensione, cosa affatto facile, anzi, indubbiamente difficile e rara da trovare nella poesia contemporanea, tutti elementi che la contraddistinguono in modo esclusivo. Complimenti.
Volendo fare una scelta, all’istante, non prenderei certo i versi che forse rispondono a quel grottesco di cui parla il Linguaglossa, non so se più ad effetto o inavveduti di Jaroław Mikołajewski. “le mie figlie sono tutte yoghurt pane e sole/// Vivo accanto a loro come un maiale (Il Prato)
oppure: “finché non la troverò sulle lenzuola comuni di ossicini messi nelle ali rosicate” (Sconforto), ma sceglierei quelli di:“Un poeta molto vecchio”, poesia che trovo straordinaria e che ritengo magistralmente tradotta da Paolo Statuti, soprattutto nei passaggi: “e pesando nella mano il destino della quercia che poteva essere lui stesso ma non lo era fece ciò che nessuna quercia farebbe mai se avesse mille o duemila anni fece un passo docile alla sua volontà di quercia e le foglie stormirono giovani come la terra.”
Per me queste immagini sono frutto di autentiche invenzioni poetiche.
Ubaldo de Robertis
Caro Paolo hai compiuto un altro capolavoro!
Grazie, caro Ubaldo, la poesia che hai indicato piace molto anche a me, forse anche per questo elogi la mia versione.
Non è solo per quello. E’ perché pur volgendola nella nostra lingua sei riuscito a mantenere, ricreare, forse esaltare la poesia. Ti sono grato. Ubaldo
Ringrazio Paolo Statuti per la traduzione di queste poesie di Jarosław Mikołajewski –
e ringrazio il Poeta di queste sue poesie dove ritrovo i voli e gli abissi senza avere la sensazione di precipitare o restare al buio – la poesia di J. Mikołajewski è per me vera e poesia di senso – aderente alla vita e all’uomo –
ancora grazie!
saragei antonini
Anch’io ringrazio: simili commenti danno un senso alla Poesia e al. mio lavoro di traduttore.
Dovrò dividere in due parti il mio commento, in quanto non ho assolutamente la capacità di sintesi.
Desidero ringraziare anch’io per la traduzione di queste poesie. Nello stesso tempo mi scuso se in realtà approfitto di questo per esprimere ciò che ho provato dentro di me, negli anni precedenti, leggendo altre poesie dello stesso autore. Mi scuso anche con il poeta stesso se nessuna di queste poesie, in questo momento mi toccano profondamente. Ciò è dovuto alla mia poca conoscenza della poesia unita alla difficoltà nel leggere in versi. Ma credo, anche da un punto di vista puramente soggettivo che in parte possa essere anche normale sentire, quando si legge, qualcosa di più istintivamente vicino, e qualcosa invece di estremamente distante o inaccessibile.
D’altra parte quello che tenterò di spiegare fa parte di una valutazione puramente soggettiva, personale o meglio ancora di ciò che ho percepito e vissuto nel mio mondo interno. Anche se non vi nascondo una certa paura. Generalmente non è facile esternare quello che accade, attraverso anche la lettura nella parte più intima di se stessi.
Ci provo…
Alcuni anni fa lessi l’unica raccolta di poesie presenti in Italia di Mikołajewski. Mi colpì subito: “Preghiera per un difetto” e “Sonno di Pietra”. Nella prima poesia, in maniera particolare quando il poeta esprime di non sentire dentro di se, più risposte. Di: “ Ripetere vecchie formule come slogan mutilati”. E la preghiera rivolta è “ logora e menomata”. Nello stesso tempo il desiderio espresso in questa preghiera di ritrovare quello che il poeta chiama “ L’idioma inaudito”. Dentro di me questi versi e soprattutto questo verso in particolare mi ha subito riportato a un racconto di Dürrenmatt che avevo letto molti anni prima: “ Abu Chanifa e Anan Ben David”. Quando questi due personaggi rinchiusi in una cella cominciano a parlare tra loro, dell’ Eterno. E in particolare l’immagine dei topi che lentamente distruggono i loro rispettivi testi sacri, unica lettura a loro concessa.
Grazie Eleonora per questo suo interessante e appassionato commento. Se lei permette lo trasmetterò a Jarosław Mikołaewski. Cordiali saluti.
Sono io che debbo ringraziare Lei. Mi dispiace tanto per aver dovuto inviare più volte questo commento. Con i siti, i blog e via dicendo non riesco mai a seguire bene le indicazioni. Come potrà notare infatti la prima parte si unisce alla terza, e la seconda è l’ultima. Tra l’altro anche lei se non sbaglio è un poeta. Infatti l’ultima citazione che ho trovato in un saggio è dedicata a tutti i poeti. E quindi quando Lei traduce essendo un poeta credo, che c’è sempre quel qualche cosa che va oltre la traduzione stessa.
Non c’è problema lo invii pure a Jarosław Mikołaewski. Cordiali saluti anche a Lei.
Eleonora Conti
La loro condivisione profonda, parlando dell’Eterno e il loro destino li porterà addirittura a raggiungere lo stesso Eterno l’uno attraverso l’altro, dentro di me ha corrisposto esattamente a “quell’Idioma inaudito” espresso dal poeta. In quel momento l’argomento principale che Dürrenmatt in quel racconto vuole mettere in evidenza, non aveva per me una particolare importanza. Quanto invece in tutti e due i scrittori ritrovavo quel desiderio personale, intimo di poter sperimentare di andare oltre. Alcune volte nella mia vita, in circostanze difficili mi è capitato di non sentire più niente, la terribile sensazione del vuoto, della perdita di me stessa. Tentavo di provare a pregare, ma percepivo chiaramente quanto tutto questo fosse a dir poco ridicolo. Quando i due teologi nell’ultima parte del racconto, per una serie di vicissitudini si rincontrano, nella stessa cella, con lo stesso desiderio di ritrovare l’Eterno l’uno attraverso l’altro, per me, il sogno si compie. Così come quando il poeta in “Sonno di Pietra” scende e ritorna lentamente “ Dall’altra parte” e dove dice:” Attesto che le sue rive sono come dune calde, che la testa del profondo cerca riposo su di loro”. E ancora: “ Dove sulla sua animata clessidra il sacro distribuisce equamente il suo peso”. Per me, il sogno si compie. Leggendo i versi di Mikołajewski e ricordando in quel momento il racconto di Dürrenmatt, in me è sorta nuovamente la speranza che questo sogno era possibile, forse si poteva compiere prima o poi nella mia vita.
Sono passati due anni e mezzo da quando è morto mio padre.
Una sera negli ultimi tempi della sua vita, mentre lo aiutavo a mettersi a dormire, lo vedevo così smagrito, i suoi movimenti sempre più lenti e difficoltosi, il suo silenzio. Sentivo, come lui, che ormai mancava poco. Sentivo che tutti e due avevamo paura, e tutti e due eravamo per questo in una condizione di estrema vulnerabilità. Nello stesso tempo sia lui che io avevamo paura di esprimere l’una a l’altro quel distacco che niente poteva fermare. Mi vennero in mente in quel momento altri versi di altre poesie di Mikołajewski, così chiare e limpide nella mia mente. Presi quel libro di poesie e ne scelsi due: “ Ninna Nanna per mio padre” e “Amici”. Le lessi. Sapevo bene come per mio padre fede e miscredenza fossero indivisibili. Infatti lo osservai mentre leggevo quest’ultima poesia. Ebbe come un piccolo sussulto, e quando finì mi chiese di rileggerla ancora una volta. Era come se finalmente qualcuno aveva capito quello che ormai da tanto tempo percepiva dentro di se. Ed io alla stessa maniera attraverso l’aiuto dei versi di “Ninna Nanna per mio padre” potevo dirgli quello che non riuscivo ad esprimere tanta era la paura della sua perdita.
Ci sentimmo bene. Come ogni sera ci demmo la buona notte. E mentre mi allontanavo mi volsi verso di lui che mi sorrise dolcemente e mi salutò con un gesto delle mano, come quando ero piccola.
Quella sera attraverso l’aiuto di quei versi anche per me finalmente quel sogno si era compiuto.
Non lo so ma per me questa è stata l’esperienza “dell’Idioma inaudito” espresso fin troppo bene dal poeta.
Vorrei concludere con una citazione di un autore che non conosco, ma che voi essendo poeti certamente conoscerete. Mi è capitata di leggerla in un saggio. Come segno di riconoscenza, ma soprattutto per quanto mi riguarda, come l’arte con le sue diverse espressioni possano portare l’essere umano oltre ciò che apparentemente sia possibile. Non so esprimerlo in altro modo.
“Da Bachelard” , “La Poetique de l’espace”.
“ Le Parole – L’immagino spesso – sono delle piccole case, con cantina e solaio. Il senso comune soggiorna a pianterreno, sempre pronto al commercio con l’esterno, allo stesso livello di altri, con un passante che non è mai un sognatore. Salire le scale della parola significa, di gradino in gradino astrarre. Scendere nella cantina, significa sognare, perdersi nei remoti corridoi di una incerta etimologia, significa cercare nelle parole tesori introvabili.
Salire e scendere nelle stesse parole, è la vita del poeta. Solo al poeta è consentito di salire troppo in alto e scendere troppo in basso poiché egli unisce ciò che è terrestre e ciò che è celeste.
Solo il filosofo sarà condannato dai suoi pari a vivere a pianterreno?”.
Con stima e riconoscenza
Eleonora Conti
La loro condivisione profonda, parlando dell’Eterno e il loro destino li porterà addirittura a raggiungere lo stesso Eterno l’uno attraverso l’altro, dentro di me ha corrisposto esattamente a “quell’Idioma inaudito” espresso dal poeta. In quel momento l’argomento principale che Dürrenmatt in quel racconto vuole mettere in evidenza, non aveva per me una particolare importanza. Quanto invece in tutti e due i scrittori ritrovavo quel desiderio personale, intimo di poter sperimentare di andare oltre. Alcune volte nella mia vita, in circostanze difficili mi è capitato di non sentire più niente, la terribile sensazione del vuoto, della perdita di me stessa. Tentavo di provare a pregare, ma percepivo chiaramente quanto tutto questo fosse a dir poco ridicolo. Quando i due teologi nell’ultima parte del racconto, per una serie di vicissitudini si rincontrano, nella stessa cella, con lo stesso desiderio di ritrovare l’Eterno l’uno attraverso l’altro, per me, il sogno si compie. Così come quando il poeta in “Sonno di Pietra” scende e ritorna lentamente “ Dall’altra parte” e dove dice:” Attesto che le sue rive sono come dune calde, che la testa del profondo cerca riposo su di loro”. E ancora: “ Dove sulla sua animata clessidra il sacro distribuisce equamente il suo peso”. Per me, il sogno si compie. Leggendo i versi di Mikołajewski e ricordando in quel momento il racconto di Dürrenmatt, in me è sorta nuovamente la speranza che questo sogno era possibile, forse si poteva compiere prima o poi nella mia vita.
Sono passati due anni e mezzo da quando è morto mio padre.
Una sera negli ultimi tempi della sua vita, mentre lo aiutavo a mettersi a dormire, lo vedevo così smagrito, i suoi movimenti sempre più lenti e difficoltosi, il suo silenzio. Sentivo, come lui, che ormai mancava poco. Sentivo che tutti e due avevamo paura, e tutti e due eravamo per questo in una condizione di estrema vulnerabilità. Nello stesso tempo sia lui che io avevamo paura di esprimere l’una a l’altro quel distacco che niente poteva fermare. Mi vennero in mente in quel momento altri versi di altre poesie di Mikołajewski, così chiare e limpide nella mia mente. Presi quel libro di poesie e ne scelsi due: “ Ninna Nanna per mio padre” e “Amici”. Le lessi. Sapevo bene come per mio padre fede e miscredenza fossero indivisibili. Infatti lo osservai mentre leggevo quest’ultima poesia. Ebbe come un piccolo sussulto, e quando finì mi chiese di rileggerla ancora una volta. Era come se finalmente qualcuno aveva capito quello che ormai da tanto tempo percepiva dentro di se. Ed io alla stessa maniera attraverso l’aiuto dei versi di “Ninna Nanna per mio padre” potevo dirgli quello che non riuscivo ad esprimere tanta era la paura della sua perdita.
Ci sentimmo bene. Come ogni sera ci demmo la buona notte. E mentre mi allontanavo mi volsi verso di lui che mi sorrise dolcemente e mi salutò con un gesto delle mano, come quando ero piccola.
Quella sera attraverso l’aiuto di quei versi anche per me finalmente quel sogno si era compiuto.
Non lo so ma per me questa è stata l’esperienza “dell’Idioma inaudito” espresso fin troppo bene dal poeta.
Vorrei concludere con una citazione di un autore che non conosco, ma che voi essendo poeti certamente conoscerete. Mi è capitata di leggerla in un saggio. Come segno di riconoscenza, ma soprattutto per quanto mi riguarda, come l’arte con le sue diverse espressioni possano portare l’essere umano oltre ciò che apparentemente sia possibile. Non so esprimerlo in altro modo.
“Da Bachelard” , “La Poetique de l’espace”.
“ Le Parole – L’immagino spesso – sono delle piccole case, con cantina e solaio. Il senso comune soggiorna a pianterreno, sempre pronto al commercio con l’esterno, allo stesso livello di altri, con un passante che non è mai un sognatore. Salire le scale della parola significa, di gradino in gradino astrarre. Scendere nella cantina, significa sognare, perdersi nei remoti corridoi di una incerta etimologia, significa cercare nelle parole tesori introvabili.
Salire e scendere nelle stesse parole, è la vita del poeta. Solo al poeta è consentito di salire troppo in alto e scendere troppo in basso poiché egli unisce ciò che è terrestre e ciò che è celeste.
Solo il filosofo sarà condannato dai suoi pari a vivere a pianterreno?”.
Con stima e riconoscenza
Eleonora Conti
“Come in una scala sospesa tra il reale e l’immaginario, Mikołajewski costruisce le sue poesie che a un lettore italiano possono suonare esotiche o esogene ma che in realtà rispondono a un preciso progetto conoscitivo” – é proprio così come ha notato Giorgio Linguaglossa.
Paolo Statuti, il blog ho trovato per caso prorpio adesso, cercando le informazioni sull’Istituto Polacco a Roma. Ringrazio tanto per la traduzione delle poesie di Jarosław Mikołajewski (le sue opere leggo da tanto tempo, conosco benissimo anche il libro poetico intitolato in polacco “Którzy mnie mają”, dal quale sono prese le poesie tradotte e prestentate qui (“Łąka”- “Il prato” ecc.). Il mio verso più preferito è invece “Area aerea” (pp. 14-15) nella quale Mikołajewski nel modo maestroso mostra come si può usare nella poesia i giochi etimologici e sfruttare la forza delle immagini culturali mantenuti nelle radici delle parole in un verso. Molto importante è anche il livello fonico, che crea i nuovi significati attravverso il testo (nel ordine trasversale). Si vede già nel titolo del libro: “Którzy mnie mają”. Il progetto conoscitivo menzionato da Lingualossa é ben attivato anche qui, nella frase iniziale e polisemantica.
La linea “Vivo accanto a loro come un maiale” (in polacco – “Żyję obok nich jak wieprz”) può sembrare molto forte e suggestiva, lo stesso contrasto c’e’ nell’originale (fra delicatezza e dolcezza delle fanciulle e suo padre, che osserva la loro incredibile bellezza allo sfondo delle meraviglie della natura nel suo ciclo vegatativo).
Tanti saluti e scusate per favore i miei errori grammaticali.