Archivio | novembre, 2014

La mia vita

4 Nov

Nel 1982, quando attraversavo un momento assai critico, senza lavoro, prima di partire per la Polonia, dove avrei trovato ospitalità e stima, ho scritto questo testo che nelle mie intenzioni doveva essere il testo di una canzone. Non ricordo più se avevo già in mente anche la musica, ma forse a qualcuno dei miei lettori potrebbe ispirare una melodia.

 

La mia vita

Tirando le somme della mia vita

mi ritrovo con un pugno di mosche

e senza insetticida

e senza insetticida

 

Quante volte penso di far fagotto

e andare in cerca del cuore dell’uomo

ma è come un terno al lotto

ma è come un terno al lotto

 

Ho rubato il colore dei mattini

e ho dipinto la terra di rosa

ma era piena di spini

ma era piena di spini

 

Un tempo ho creduto d’essere amato

e d’esser libero come un uccello

ma gli hanno sparato

ma gli hanno sparato

 

Vorrei ringraziare il sole e la luna

le stelle e la notte che le conduce

ma non ho parola alcuna

ma non ho parola alcuna

 

Forse anche tu se mi fossi vicina

mi diresti hai la febbre e deliri

prenditi un’aspirina

prenditi un’aspirina

 

Ma che la gioia non sia una chimera

io spero ancora anche se la speranza

è una vecchia megera

è una vecchia megera.

 

1982     (Paolo Statuti)

 

Oggi, dopo tanti anni e tanto lavoro creativo la scriverei diversamente, ma non mi dispiace che resti a ricordo di quegli anni difficili.

 

 

 

Michail Arkad’evich Svetlov

3 Nov
Michail Svetlov

Michail Svetlov

       Nacque a Ekaterinoslav il 17 giugno 1903 e morì a Mosca il 28 settembre 1964. Poeta e drammaturgo russo. Proveniva da una povera famiglia ebrea. Dal 1919 membro del Komsomòl (Gioventù Comunista). Nel 1920 prese parte come volontario alla guerra civile in Russia. Inizialmente subì l’influenza del gruppo Kuznica (La fucina). La sua prima raccolta Rel’sy (Rotaie) uscì nel 1923. Negli anni ’40 e ’50 creò liriche patriottiche, riflessive e poemi per il teatro. La sua poesia più famosa è Grenada. Essa è stata musicata da diversi compositori e tradotta in molte lingue. Negli anni della guerra civile spagnola (1936-39) fu uno dei canti più amati dalla brigate internazionali, e durante la II guerra mondiale era l’inno dei prigionieri del campo di concentramento di Mauthausen. Qual è l’origine di questo poema? Svetlov camminava lungo via Tverskaja a Mosca e giunto nei pressi del cinema Ars (diventato poi Teatro Stanislavskij) in fondo a un cortile vide la scritta Albergo Granada. Lì per lì per celia decise di scrivere una serenata. Continuò a camminare cantando: «Granada, Granada…» Ma non nacque una serenata, bensì un canto romantico internazionale. Svetlov era a corto di denari e cercò di vendere la poesia a diverse redazioni. Ma non vollero accettarla, non piaceva. Si offrì di pubblicarla la rivista Oktjabr (Ottobre), ma non avevano soldi per pagarlo. Alla fine fu stampata dalla Komsomolskaja pravda (La verità della Gioventù Comunista) il 29 agosto 1926, per un compenso ridotto, cioè 40 copechi a riga, anziché 50 come era stato stabilito, motivando la riduzione con le parole: «Voi, Svetlov, potete scrivere meglio». Un giorno il poeta Semion Kirsanov lesse Granada. Il poema gli piacque molto, corse subito da Majakovskij e gli lasciò il testo. Alcuni giorni dopo si svolse una serata di Majakovskij al Museo del Politecnico. La sala era stracolma. «Io stavo in piedi – racconterà nel 1957 Svetlov – mi ero stancato e tornai a casa, senza aspettare la fine della serata, ma un mio vicino che era rimasto fino all’ultimo mi disse: – Perché sei andato via? Majakovskij ha  recitato a memoria la tua Granada! In seguito egli la lesse in molte città. Diventammo amici. Una volta sorridendo mi confidò: – Svetlov! Qualunque cosa io scriva non conta, tutti mi chiamano La nuvola in calzoni. Temo che sarà lo stesso con la vostra Granada.    Furono parole profetiche. Ogni mio nuovo conoscente dice subito: – Ah sì, Svetlov! Granada! Da una parte fa piacere, ma dall’altra è un peccato che dopo 40 anni di attività letteraria, io risulti l’autore di una sola poesia».

Granada nella versione di Paolo Statuti

 

GRANADA

 

A passo di marcia,

Noi combattenti,

Il canto Jabločko

Stringiamo tra i denti.

Ah, questa canzone,

O steppa, conserva

La malachite

Della tua erba.

Ma un’altra canzone

Di un’altra terra

Qualcuno ha portato

Con sé nella sella.

E canta guardando

Di qua e di là:

«Granada, Granada,

Granada majà!»

E questa canzone

Lui canta assai bene…

Ma come conosce

Le iberiche pene?

Orsù, Aleksandrovsk,

Char’kòv, rispondete:

Da tempo in spagnolo

Cantata l’avete?

Oh dimmi, Ucraìna,

Nel biondo frumento

Taras Ševčenko

Non giace da tempo?

Perché, amico mio,

Canti questa città:

«Granada, Granada,

Granada majà?»

Indugia il ragazzo,

E poi trasognato:

– Granada – risponde –

In un libro ho trovato.

Granada da sempre

In Spagna è situata –

Ha un nome assai bello,

Da tutti è onorata!

La casa ho lasciato,

Io voglio lottare,

La terra ai coloni

Io voglio ridare,

Tornerò dai miei cari,

Quando Dio vorrà!

«Granada, Granada,

Granada majà!»

Correvamo a lottare,

Per capire a fondo

La lingua degli spari –

La lingua dello scontro.

Il sole sorgeva

E poi tramontava,

E il cavallo era stanco,

Eppur galoppava.

Il canto Jabločko

Con gli archi-lamenti

Sonavano tutti

Sui violini dei tempi…

Ma quel canto dov’è,

E’ finito di già:

«Granada, Granada,

Granada majà?»

Colpito nel petto

A terra è crollato,

Il caro compagno

La sella ha lasciato.

La luna il suo corpo

Baciò rischiarando,

E dalle labbra uscì:

«Grana…» soltanto.

In terra lontana,

Nelle nubi dov’è,

L’amico il suo canto

Ha portato con sé.

E da allora nessuno

Mai più sentirà:

«Granada, Granada,

Granada majà».

Il reparto non vide

Quel morto guerriero

E il canto Jabločko

Cantò per intero.

Soltanto dal cielo

Sull’alba-velluto,

D’una piccola nube

Il pianto è piovuto…

Ma nuove canzoni

Ha composto la vita…

Ragazzi, non serve

Soffrir per un canto.

Non serve, non serve,

E non servirà…

Granada, Granada,

Granada majà!

(1926)

(C) by Paolo Statuti

Mary Elizabeth Frye (1905-2004)

1 Nov
Mary Elizabeth Frye

Mary Elizabeth Frye

Mary Elizabeth Frye è nota oggi unicamente per aver scritto la poesia “Sulla mia tomba non versare il tuo pianto” – un’elegia consolatoria con una genesi interessante.

Quando questa poesia fu dichiarata la più popolare in Gran Bretagna in un sondaggio svolto nel 1996, Mary Elizabeth Frye, rimasta orfana all’età di tre anni, casalinga e fioraia di Baltimora senza studi, superò molte torri d’avorio letterarie nel giudizio del popolo inglese.  Il suo nome come autrice di questa poesia restò sconosciuto fino al 1990, quando lei stessa rivelò di averla scritta. Ciò fu confermato nel 1998, dopo accurate ricerche, dalla nota giornalista americana Abigail Van Buren. Fu composta nel 1932. La triste situazione di una giovane ebrea tedesca, Margaret Schwarzkopf, che viveva allora con la Frye, ispirò la poetessa. La giovane era profondamente preoccupata per sua madre, che era troppo vecchia e malata per poter lasciare la Germania, mentre lei a sua volta non poteva recarsi dalla madre, a causa del violento antisemitismo scoppiato nel suo paese. Quando ricevette la notizia che la madre era morta, disperata e con il cuore infranto disse alla Frye che non avrebbe mai avuto la possibilità di “versare una lacrima sulla tomba della madre”. La poetessa allora scrisse la poesia di getto su un ritaglio di una busta della spesa. Fu la sua prima e ultima poesia di rilievo, scritta in un impeto di profonda commozione.

Essa fu pubblicata da The Times e da The Sunday Times il 5 novembre 2004, nel giorno del funerale dell’autrice.

Questa poesia viene spesso letta durante le esequie e in occasione di particolari cerimonie commemorative, come fu per la navetta spaziale Challenger, l’attentato terroristico di Lockerbie e quello delle torri gemelle a New York.

 

Ecco la poesia nella mia versione:

 

Sulla mia tomba non versare il tuo pianto

Sulla mia tomba non versare il tuo pianto,

Non sono morta; io dormo soltanto.

Io sono nel vento che alita lieve,

E nei diamanti di soffice neve,

Io sono nel sole che matura il grano,

E nella pioggia che cade pian piano.

E quando ti desti di primo mattino

Io sono nel frullìo d’un uccellino.

Io sono nella dolce luce d’una stella

Che brilla ed è sempre più bella.

Non piangere su questa mia dimora,

Io sono altrove; non sono morta ancora.

 

 

(C) by Paolo Statuti